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Striscia di Gaza e tumori, uno studio del CRO

venerdì 26 ottobre 2018

«La chiusura delle frontiere israeliana ed egiziana anche ai malati di tumore – e le difficoltà nell’approvvigionamento di chemioterapici e materiale utilizzato in radioterapia – sono le principali cause dell’alta mortalità dei malati oncologici nella Striscia di Gaza»

 
«La chiusura delle frontiere israeliana ed egiziana anche ai malati di tumore -  e le difficoltà nell'approvvigionamento di chemioterapici e materiale utilizzato in radioterapia - sono le principali cause dell'alta mortalità dei malati oncologici nella Striscia di Gaza»: lo sostengono Khaled Abusamaan, Mahmoud Daher e Fouad Elissawi, medici palestinesi partners di una ricerca finanziata tra il 2009 e il 2014 dal Ministero della Salute nell'ambito del programma EUROMED Cancer Network, progetto nato per favorire le reti oncologiche nei paesi Mediterranei extra-europei. Lo studio, coordinato dal Centro di Riferimento Oncologico di Aviano in collaborazione con AIRTUM e Istituto Superiore di Sanità, è stato pubblicato su BMC Cancer.
 
«A 5 anni dalla diagnosi solo il 65% delle donne di Gaza cui è stato diagnosticato un tumore della mammella tra il 2005 e il 2014 era vivo – spiega Diego Serraino, direttore di Epidemiologia e Biostatistica del CRO e responsabile scientifico della ricerca - . Una percentuale decisamente inferiore a quella della maggior parte dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo: in Italia, per esempio, circa il 90% delle donne è vivo dopo 5 anni dalla diagnosi tumore della mammella. Anche gli uomini e le donne che si ammalano di tumore del colon retto nella Striscia di Gaza – prosegue – rischiano di morire precocemente. Solo uno su due, infatti, sopravvive 5 anni, una riduzione di quasi 15 punti percentuali rispetto alla media dei Paesi Mediterranei». Le donne con tumore della mammella che avevano avuto accesso a nessuna o al massimo a un solo tipo di terapia antitumorale, presentavano un rischio di morte di quasi 4 volte superiore a quelle che avevano potuto beneficiare di quattro terapie: chirurgia, chemioterapia, ormonoterapia  e radioterapia. 

«Ancora maggiore – aggiunge Serraino – la probabilità di morte per i malati di tumore del colon-retto, con un rischio quasi 10 volte più alto per chi non aveva avuto la possibilità di essere curato o, al massimo, aveva avuto accesso a un solo tipo di terapia antitumorale rispetto a chi era stato trattato con tre terapie (chirurgia, chemioterapia, e radioterapia)».

Foto: Osservatorio Analitico

Ufficio Stampa | IRCCS CRO Aviano